di Nicola Bassano
Nota per il suo coraggio nell’affrontare tematiche complesse e controverse, spesso considerate tabù, e per la capacità di indagare le complessità delle cose attraverso un punto di vista inedito che sovverte i modelli tradizionali, Liliana Cavani ha segnato profondamente la storia del cinema dagli anni ‘60 ai giorni nostri. Il suo cinema è caratterizzato da una profonda indagine psicologica dei personaggi e da una lucida analisi dei rapporti di potere, con una particolare attenzione alle dinamiche
sessuali, sociali e religiose. Tra i suoi film più noti, I cannibali (1970), Il portiere di notte (1974), Francesco (1989) e La pelle (1981), che incarnano il suo stile unico e la sua capacità di esplorare l’animo umano con una sensibilità fuori dal comune. Uno degli aspetti più distintivi del cinema di Cavani è l’uso della trasgressione come strumento di analisi. Il portiere di notte, ad esempio, ha sollevato numerose polemiche per la rappresentazione di una relazione sadomasochistica tra un’ex prigioniera
ebrea e il suo ex carceriere nazista. Con questo film, Cavani non si limita a raccontare una storia d’amore, ma piuttosto a svelare come i traumi del passato continuino a influenzare e modellare le vite dei protagonisti. La pellicola esplora i confini tra vittima e carnefice, mettendo in discussione la possibilità di redenzione e le sfumature della natura umana. Questa inclinazione alla provocazione è sempre presente nel suo lavoro, che si propone di sfidare lo spettatore e di stimolare una riflessione critica. Cavani mostra un forte interesse per le figure storiche e religiose, spesso utilizzate come metafore per esplorare temi universali. Con Francesco d’Assisi, miniserie televisiva in due puntate del 1966,interpretato magistralmente da Lou Castel (volto convincente della precontestazione) la regista presenta la figura di San Francesco d’Assisi non solo come santo, ma come un uomo con dubbi e tormenti interiori, dando una lettura laica e moderna del personaggio. L’atteggiamento della regista qui è esplicitamente antiagiografico, prediligendo invece la commistione di una componente storicistica e una religiosa, con l’intento di richiamare la purezza cristiana primitiva. Attraverso Francesco, Cavani esplora la tensione tra spirito e corpo, tra povertà e potere, riflettendo anche sul significato della fede. La sua rappresentazione non è convenzionale; cerca piuttosto di umanizzare la figura del santo, rendendolo più accessibile al pubblico e mettendolo in relazione con il contesto storico e culturale dell’epoca. Successivamente, con Galileo (1968), L’ospite (1971), Milarepa (1973) e il già citato Il portiere di notte (1974) Liliana Cavani ha saputo costruire una dialettica personale, espressione lucida e tangibile della propria fede religiosa e politica. Un altro tratto distintivo del suo cinema è la messa in scena della violenza in modo crudo e realistico, non per glorificarla, ma per evidenziare la brutalità e l’assurdità della condizione umana. In La pelle, basato sul romanzo di Curzio Malaparte, la regista affronta la devastazione della Seconda Guerra Mondiale, esponendo la degradazione morale e fisica dei personaggi che lottano per sopravvivere. Cavani non risparmia lo spettatore, costringendolo a confrontarsi con scene di dolore e sofferenza che rappresentano il collasso dell’etica e della dignità umana di fronte alla guerra. Nei suoi film, la regista carpigiana, ha sempre invitato lo spettatore a riflettere sulle contraddizioni che definiscono l’essere umano e sull’importanza di riconoscere la nostra capacità di autoinganno. Il suo cinema, ancora oggi, è un invito a guardare dentro noi stessi, a confrontarci con le nostre ombre, in un percorso che è al tempo stesso artistico e filosofico. Sempre
alla ricerca del mito e della mitologia oltre la leggenda, Cavani affronta la narrazione dei suoi personaggi togliendosi volontariamente dall’aspetto romanzesco e favolistico della storia, privilegiando le potenzialità documentaristiche e realistiche del linguaggio cinematografico. La purezza di questo processo artistico non rifugge, però, la prospettiva allucinatoria e talvolta visionaria dell’esistenza, proponendo incursioni nel surreale e nella dimensione onirica (vedi I cannibali). Il suo sforzo è quello di proporre continuamente interrogativi, non preoccupandosi della forza divisiva di questo approccio. Il suo sguardo libero e demistificatore, infatti, è il frutto di una concezione della realtà incapace di adattarsi ai manicheismi imposti dalla società. Il suo ultimo film, L’ordine del tempo (2023), realizzato a ventun anni da Il gioco di Ripley (2002), è tratto dall’omonimo saggio del fisico Carlo Rovelli, che esamina la natura del tempo da più punti di vista all’interno dell’evoluzione del pensiero scientifico.
La componente filosofica, qui, si mescola alla dimensione meditativa e spirituale, da sempre tratto distintivo dell’opera della regista. A tratti claustrofobico, grazie a una impostazione quasi teatrale, il film analizza la deriva di una classe sociale, che reagisce alla fine imminente del mondo, richiudendosi in sé stessa alla ricerca della redenzione da tutti i peccati. Una dolce-amara riflessione sulla miseria della borghesia in cui ogni personaggio con il suo personale trauma o il proprio dramma irrisolto ha perso il coraggio di essere sé stesso. In definitiva, il cinema di Liliana Cavani si distingue per la sua capacità di scuotere le coscienze, di sfidare i pregiudizi e di esplorare i lati oscuri della condizione umana. Attraverso l’uso della provocazione e di un’estetica rigorosa, Cavani riesce a rendere ogni suo film un’esperienza intellettuale e sensoriale che invita lo spettatore a riflettere sulla propria posizione rispetto ai temi della memoria, del potere e della spiritualità. La sua filmografia continua a essere un punto di riferimento per il cinema d’autore italiano e internazionale, dimostrando che l’arte può essere uno strumento potente per interrogare e comprendere le complessità della vita.
Targa Zavattini 2024
La Targa Zavattini 2024 è attribuita a Liliana Cavani, che si è distinta con il suo cinema per attenzione e sguardo.
L’opera per Liliana Cavani è stata realizzata dall’artista Matteo Messori in collaborazione con Amaro! ovvero Claudia Torricelli e Martino Pompili.
Lo scultore ha voluto rimembrare l’infanzia di Liliana Cavani e i momenti in cui la madre avviava e influenzava la sua passione per il cinema.
Ricordare da dove è partito tutto rinnovando la forza che dà origine a tutto.
lunedì 4 novembre
Multisala Novecento
ore 21
L’ordine dell’errore
incontro con Liliana Cavani, Targa Zavattini 2024,
in dialogo con Nicola Bassano.
A seguire proiezione del film L’ordine del tempo (2023)